Passiamo ora a
Luigi La Porta eroe nazionale che contribuì attivamente alla
liberazione della Sicilia assieme a Giuseppe Garibaldi, prima e
durante la spedizione dei mille.
La storia
comincia nel 1848. Il 6 febbraio il popolo ciminnese, si radunò alla
Chiesa Madre per cantare il Solenne Te Deum in ringraziamento della
libertà acquisita dalla Sicilia. Finita la Sacra funzione, il popolo
uscì con la bandiera tricolore, andò in casa dell’esattore comunale
Giuseppe Di Blasi e bruciò tutte le carte di quell’ufficio. Infine
passò dall’abitazione del Cassiere comunale Rosario Bondì e qui si
ebbe un grave fatto di sangue.
Il Bondì,
prevedendo un assalto di popolo, stupidamente pensò di prepararsi
alla difesa facendo chiudere dentro la sua casa alcuni individui
armati per resistere a qualunque violenza. Quando però la folla fu
sotto casa sua, era già notte, uno di quegli
individui, si affacciò da una finestra e sparò sulla gente, forse
per intimorirla.
Ma quel colpo di
fucile fu il segnale della lotta, perché il popolo, inferocito da
quell’atto, entro dentro casa, gli individui prezzolati dal Bondì
fuggirono nella confusione ed il povero Bondì fu trovato nascosto
sotto un mucchio di concime, dove si era nascosto e fu ucciso.
Quell’anno, come
tutti i Comuni della Sicilia si formò anche a Ciminna un Comitato
rivoluzionario, che si mise in contatto con quello centrale di
Palermo. Assunse l’Amministrazione comunale e politica l’Arciprete
Don Salvatore Cascino e tempo dopo dal Sig. Francesco Landolina.
Per il
mantenimento dell’ordine fu istituita una guardia
nazionale, comandata dal Sig. Ignazio Cocchiara.
Ciminna, allora
era Sede Circondariale e perciò mandò al Parlamento Siciliano il suo
rappresentante nella persona dell’Avv. Giuseppe La Porta, che nella
memorabile seduta del 13 aprile 1848, votò la decadenza dei Borboni.
Fatta la proclamazione del nuovo Re di Sicilia nella persona del
Duca di Genova Alberto Amedeo figlio del Re di Sardegna, in Ciminna
si fecero manifestazioni di giubilo con spari di mortaretti e suono
di campane. Successivamente, però, ci fu nuovamente la restaurazione
borbonica, e Ciminna fu costretta a fare atto di ubbidienza al Re
Ferdinando.
Nel 1856 Ciminna
fu visitata dalla banda di Francesco Bentivegna, che finì
infelicemente per la causa della libertà. La rivolta cominciò il 22
novembre, percorrendo a mano armata i Comuni di Campofelice di
Fitalia, Villafrati e Mezzojuso, mentre Davide Figlia, uno dei
principali compagni di Bentivegna, si diresse a Ciminna, già sorta
in arme grazie a Luigi La Porta.
Qui lasciò la
parola al Sig. Spiridione Franco che faceva parte della banda e ne
scrisse la storia in un libro pubblicato a Roma nel 1899: “ Giunti a
Ciminna i nostri cuori si sollevarono un poco nel vedere sventolare
la bandiera della libertà, che portava Davide Figlia spiegata nelle
terre comunali della Purchiarola, l’ottima banda cittadina che
suonava l’inno nazionale del 1848 e Luigi La Porta che con un buon
numero di Ciminnesi ci attendeva; Davide figlia schierò in parata
i suoi uomini e così con la musica in testa, siamo entrati in
Ciminna ricevendo affettuose accoglienze. Abbiamo posto in nostro
quartiere generale nel Casino dei civili posto in Piazza Umberto I,
ove fra l’altro si sparò ai ritratti dei sovrani.
In detto casino
dei civili, il Bentivegna con Luigi La Porta, formo il disegno di
sollevare Lercara, Prizzi, Corleone e Marineo e di piombare
improvvisamente a Palermo; ma in quel momento, come detto prima, le
sorti del Bencivenni erano ormai decisa, di
lì a breve sarebbe stato catturato, processato e condannato a morte.
Eseguita la condanna, Rimase come Comandante circondariale solo
Luigi La Porta, colui che fu in Ciminna l’anima di quel movimento
rivoluzionario, che, soffocato ma non spento con la restaurazione
borbonica del 1848, doveva finalmente trionfare con l’aiuto e la
direzione del Duce dei mille - Giuseppe Garibaldi, nel 1860.
In quel periodo,
Luigi La Porta continuò a tessere le relazioni con gli uomini più
eminenti ed influenti della rivoluzione.
Con tale
preparazione d’animi è facile comprendere come Ciminna, nel 1860 sia
stato uno dei primi paesi a muoversi, prima ancora che in Palermo
suonasse la famosa campana della Gancia, e nel paese alcuni giovani
ardimentosi con a capo Giuseppe Di Blasi, attaccarono ad una croce
di legno, posta sul poggetto di S. Agata, una bandiera tricolore,
che fu vista sventolare con gioia di tutti gli abitanti.
I tempi erano maturi.
Il 7 aprile,
Luigi la Porta, raccolta anche a Ventimiglia di Sicilia una squadra
di armati, ritornò in Ciminna con la bandiera tricolore spiegata,
dove accolto dal popolo, percorse le vie principali del Paese
inneggiando alla libertà e distrusse per la seconda volta i ritratti
dei sovrani. Quindi, ingrossata la banda si recò in Baucina,
Villafrati, Ogliastro (Bolognetta) e Misilmeri dove convocò gli
uomini di pensiero e di azione e venne proclamato Presidente del
Comitato Generale d’insurrezione e dichiarò centro di Governo e
Quartiere Generale Gibilrossa.
Di li con la
squadra e con altre sopraggiunte, sostenne diversi attacchi da parte
dell’esercito borbonico, finché sopraffatte dal numero dei soldati,
si ripararono nei monti ed ivi, ingrossate ancora di più da altre
squadre che nel frattempo arrivavano da altri paesi percossero i
Comuni di Contessa Entellina, San Giuseppe Iato, Piana dei Greci,
Partinico e Montelepre.
Luigi La Porta da
Ciminna era riuscito a mettere su un piccolo esercito armato di
circa 1200 uomini.
Nel frattempo, i
mille erano sbarcati a Marsala e diretti prima a Salemi per un
incontro con gli uomini di pensiero di quel paese e da li, con
l’aiuto delle squadre siciliane del Coppola e dei fratelli Sant’Anna,
conquistarono Calatafimi, mentre il luogo tenente La Masa veniva
mandato da Garibaldi a Ciminna da Luigi La Porta per organizzare
l’assalto a Palermo, la conquista della quale era ritenuto
indispensabile per il successo e la continuazione della spedizione e
per il raggiungimento dell’unità d’Italia.
Si riunirono nel
Casino di Ciminna e qui Luigi La Porta comunica a La Masa che per
potere prendere Palermo, bisognava avvisare Rosolino Pilo di non
effettuare l’attacco dalla parte di Monreale, località obbligatoria
da chi viene dal Calatafimi, perché aveva avuto notizie
riservate da parte della Curia Palermitana
che si era ribellata a Re Ferdinando e da
uomini di pensiero che l’esercito borbonico si era attestato in quel
territorio dove aveva collocato la maggior
parte dell’artiglieria pesante e aspettava l’esercito garibaldino
suggerendo inoltre che l’attacco doveva essere fatto a sorpresa da
Gibilrossa, con assalto dalla parte della
marineria di Palermo.
Detto, fatto.
Avvisate e Riorganizzate le bande, Luigi La Porta, partì da Ciminna
per Caccamo, Termini, Trabia ed Altavilla Milicia e si diressero a
Gibilrossa.
Il 27 maggio del
1860, Luigi La Porta prese parte all’entrata a Palermo, dove
si distinse nell’assalto di Porta Maqueda e con l’aiuto dei
Palermitani dei quartieri Capo, Gancia e dintorni che nel frattempo
erano usciti fuori con forconi e tutto quanto poteva servire,
sconfissero 4000 soldati napoletani, li fecero prigionieri e li
tennero così per due mesi, dopo furono liberati e con dei vascelli
furono spedito a Napoli ridando loro la libertà. Luigi La Porta fu
promosso da Garibaldi Colonnello sul campo e successivamente dallo
stesso fu nominato Ministro della guerra, carica che tenne per pochi
mesi, perché non gli piaceva stare con le mani in mano. Era nato
combattente. Riprese servizio, raggiunse Garibaldi a Milazzo e da li
lo seguì fino a Teano, distinguendosi nella battaglia del Volturno.
La città di
Palermo, riconoscente del valore di Luigi La Porta e della sua
squadra, battezzò con il suo nome una nuova Piazza, e nel primo
cinquantenario del 27 maggio
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