Chi non desidera visitare Venezia almeno una volta nella vita?
Tutti vorrebbe visitare la Laguna, Piazza San Marco, i vicoli
stretti ed i placidi canali nei quali scorrono lentamente le gondole
accompagnate dal dolce canto del gondoliere.
Anch’ io quando ero piccolo sognavo Venezia immersa nel mare. E la
sognavo piena di grida ed allegria quando nel periodo del Carnevale
veniva invasa da migliaia di persone che con le loro maschere
riempivano vicoli e calli.
Ho avuto la possibilità di realizzare e ripetere nel tempo questo
desiderio quando durante la leva militare mi assegnarono al 114°
Reggimento Fanteria “Mantova” di stanza a Tricesimo (Udine); ogni
qual volta mi veniva assegnata una licenza di 2 giorni ne
approfittavo per andare a Venezia.
Scendendo dal treno per andare a Piazza San Marco mi perdevo fra
quelle strette viuzze, fra i negozi pieni di souvenir, maschere
carnevalesche, manufatti in vetro e lavori ad uncinetto.
Era una città piena di vita ed invasa dai turisti, ma quando
arrivava la sera lentamente si svuotava e l’aria che si respirava
era intrisa di malinconia.
Vi ritornai nuovamente in occasione di un viaggio a Vienna
organizzato con la Cassa Rurale di Ciminna.
Ci fermammo a Venezia per un giorno e pranzammo in una trattoria di
proprietà del nipote del Cavaliere Salvatore Adamo, custode del
cimitero di Ciminna.
Molti anni dopo il destino mi riportò per l’ennesima volta in quella
città dove qualcosa di veramente strano sarebbe successo.
Erano passati parecchi anni da quella gita a Vienna, la Cassa Rurale
era ormai diventata una Banca di Credito Cooperativo e da lì a poco
sarebbe stata assorbita dal Credito Emiliano.
I funzionari della Banca Emiliana erano stati ospiti a Ciminna e la
Dirigenza della Banca Ciminnese era stata invitata a Reggio Emilia.
Nel nostro tragitto verso Reggio Emilia decidemmo di fermarci a
Venezia che distava pochi chilometri.
Uscendo dalla stazione in direzione Piazza San Marco, mi ricordai
della trattoria del nostro compaesano. Certo erano passati 30 anni,
ma la curiosità e “una certa ora” ci spinsero a cercarla.
In pochissimi minuti arrivammo, ma, poiché il vecchio proprietario
non c’era più, riprendemmo delusi il nostro cammino verso Piazza San
Marco.
Fatti alcuni passi fui attratto da una targa muraria posta ad un
incrocio che recitava: “ Qui comincia il
Ghetto Ebraico, dove da sempre ha vissuto la Comunità Ebraica di
Venezia”.
Scoprimmo così una parte della città di Venezia che emanava un
fascino particolare, strade pieni di negozi che vendevano prodotti
di pertinenza ebraica, generi alimentari e macellerie che vendevano
prodotti Kosher (non ne conoscevo allora il significato), ovvero
prodotti che dovevano rispecchiare le regole che governano
l’alimentazione degli ebrei osservanti.
Alla fine entrammo in una grande piazza dove insistevano una
Sinagoga, una Scuola di tradizione ebraica e soprattutto un grande
Museo.
Non avrei mai immaginato di trovarmi in quel luogo. Dopo quella di
Praga era la seconda Sinagoga che visitavo, ma di quel mondo
conoscevo ben poco.
Espressi il desiderio di visitare quel museo convinto che avrei
trovato memorie delle immani atrocità dell’olocausto, ma con mia
sorpresa questo racchiudeva preziosi manufatti dell’arte sacra di
rito ebraico.
Alla fine della visita, nell’attesa di assaggiare un panino Kosher
presso il bar adiacente, fui attratto da una grande esposizione di
libri sulla storia e sulla tradizione ebraica.
Fra tutti quei libri uno mi incuriosì particolarmente: “Guida
all’Italia Ebraica”. Non ci pensai due volte, lo presi con impeto e
maldestramente mi sfuggi dalle mani cadendo a terra con le pagine
aperte verso il basso.
Lo raccolsi, lo girai senza richiuderlo o voltare le pagine e con
grandissimo stupore, alla pagina 333 leggevo testualmente:
“Antiche Comunità ebraiche fra cui Ciminna”. Non potevo non
essere meravigliato ed in parte turbato da quella coincidenza.
In quel momento iniziò il mio personale percorso di studi e
conoscenze che ormai dura da 17 anni e che è costellato con mia
continuo stupore da diversi incontri casuali con gente di origine
ebraica.
Il primo incontro risale al 1985 quando conobbi un giornalista
della famiglia Levi in occasione di un ulteriore viaggio a Vienna;
il secondo e ben più importante incontro avvenne a New York con
un’altra discendente della famiglia Levi presentatami dal mio amico
Nicola Bencivenni.
Ricordo ancora il giorno in cui la conobbi e le raccontai di quella
strana iniziazione alla cultura ebraica nel Museo di Venezia, di
come tutto iniziò per uno strano scherzo del destino per cui alla
ricerca di una trattoria mi ritrovai invece con in mano un libro che
parlava dell’ebraismo nel mio piccolo paesino della Sicilia.
Ad aggiungere ulteriore fascino a quel racconto fu proprio lei che
mi attenzionò un altro evento particolare: la pagina che mi si era
mostrata era la 333. Mi disse “Tre volte tre!” Tu non sai la
fortuna che ti è stata concessa, sei un prescelto, studia
attentamente la Kabbala”.
Rientrato a Ciminna mi misi all’opera e cominciai ad effettuare
delle ricerche. Fu così che scoprii che a Ciminna aveva realmente
vissuto una Comunità Ebraica, con regole proprie gestite da un
Consiglio di Proti e che vi era una Sinagoga (l’attuale Chiesa di
San Giacomo, con accluso matroneo) che fungeva anche da scuola e si
celebravano i matrimoni redigendo il Ketubah (contratto di
matrimonio in lingua ebraica) che veniva tradotto e registrato in
siciliano da un notaio.
Tale comunità visse pacificamente a Ciminna fino al 1493 quando la
Regina Isabella di Spagna emanò l’editto di espulsione di tutti gli
Ebrei dalla Sicilia, creando così uno dei più grandi disastri
economici di questa Isola.
Gli ebrei infatti oltre a pagare la Gesia (3) alla casa regia,
pagavano anche le tasse ai Signori del luogo; erano i migliori
artigiani del ferro e del legno di quell’epoca, i soli capaci di
conciare le pelli (Vicolo Conceria), dipingere la lana (Vicolo
Pintura) e sopratutto cardare la lana, operazione che in gergo si
dice follatura e che diede il nome al quartiere ebraico di Ciminna
(Folletto).
Inoltre grazie agli Ebrei presenti fin dal 13° secolo, Ciminna ebbe
l’onore di avere il primo vero Medico, certo Maestro Maseni De
Fariono, un Ebreo di Sciacca che con decreto reale di Re Martino,
prese servizio a Ciminna il 6 giugno 1373. (1)
Così come la storia ci racconterà in altri momenti storici anche a
Ciminna la Comunità ebraica fu vittima di un gravissimo torto. Il
Barone di Ciminna, in segno di sudditanza nei confronti dei regnanti
spagnoli imprigionò nelle celle sotterranee del carcere del Castello
di Ciminna molti ebrei, compresi le donne e i bambini.
Fu solo grazie all’intervento del Vicerè Acugna (2) che da Messina
mandò il suo emissario - Pietro De Asprea che gli ebrei furono
liberati. Tutte le proprietà della comunità ebraica furono vendute e
gli ebrei di Ciminna, con a seguito solo gli indumenti, alcune
coperte, del vettovagliamento ed i gioielli (paramenti sacri della
Sinagoga), furono accompagnati a Messina da cui poi partirono per
sempre senza farvi più ritorno. |