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Vito Mauro |
Orme del tempo |
I Giochi – Giuseppe Guttilla |
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Giocare è l’azione che consente ai bambini di socializzare in modo del tutto naturale e di provare le prime sensazioni di benessere. Il bambino, nella prima fase gioca per rafforzare l’amicizia, ma è nella fase successiva, quando cioè riesce ad associare, attraverso lo sviluppo di abilità cognitive, il gioco ad un fine o ad una ricompensa, che assume una vitale importanza per lo sviluppo motorio ed intellettivo del bambino stesso. L’importanza del gioco è talmente evidente che anche in natura, fra gli animali, i primi mesi di vita sono impegnati in questa attività; il tempo trascorso nel gioco determina l’appartenenza al gruppo e stabilisce ruoli e gerarchie. Nel linguaggio corrente la parola gioco indica un’attività gratuita atta a procurare piacere ed è significativo per lo sviluppo intellettivo del bambino, perché giocando, acquisisce nuove modalità per entrare in relazione con gli altri. Il bambino nel giocare impara ad essere creativo. Sperimenta le sue capacità cognitive, impara a conoscere se stesso e le sue potenzialità, entra in relazione con i suoi coetanei e ciò dà sviluppo alla sua personalità. Le fotografie che Eduardo Paladino ha dedicato al gioco, avvalorano in modo visivo quanto sopra espresso. Verifichiamo quindi alcuni fra i tanti giochi che c’erano una volta… (si praticavano in passato) e che ormai sono stati soppiantati da altri moderni ma non per questo meno efficaci. IL GIOCO DELLA TROTTOLA(Strùmmula): è un gioco completo, perché bisogna dimostrare l’abilità non solo nel fare girare il giocattolo e prenderlo nella mano, a volte facendolo girare solo in aria, senza che lo stesso tocchi terra, ma poi, mentre continua a girare, bisogna bocciare quello dell’avversario per farlo uscire dal campo di gioco e conquistare la ricompensa (dare una pizzata alla trottola dell’avversario con lo scopo di romperla). Ciò comporta la riflessione del singolo giocatore nel condurre il gioco e nel fare le opportune alleanze fra i partecipanti. IL GIOCO DELLE CATINELLE, anticamente DEI TAPPI DELLE BOTTIGLIETTE DELLE GASSOSE e DELLE ARANCIATE o successivamente DELLE FIGURINE, erano giochi che avevano come unico scopo il possesso. Infatti, per i bambini possederne di più era il modo naturale per sentirsi più importante (tali oggetti valevano più dei soldi, che comunque a quei tempi non disponevano). Identico, ma per certi versi più importante era IL GIOCO DEI BOTTONI, non tanto per le bastonate che regolarmente prendevano i bambini dai genitori, (molte volte si giocavano anche quelli delle loro camicie e giacchette) quanto per gli innocui ed infantili concetti filosofici e prime nozioni di contabilità. Stiamo parlando di bambini in età prescolare e di un gioco che ha per oggetto il possesso. Quasi tutti i bottoni avevano un proprio valore: • al bottone della camicia era assegnato il valore uno; • al bottone dei pantaloni e quello della giacca era assegnato lo stesso valore uno; • al bottone grande delle giacche era assegnato il valore due; • ai bottoni di madreperla era assegnato il valore due; • al bottone grande dei cappotti era assegnato il valore quattro; • al più raro, il bottone dei pastrani (bottone scuro con l’ancora disegnata) era assegnato il valore otto; • a tutti i bottoni di materiale pregiato (alluminio, ferro o zinco) il valore era a merito e si contrattava di volta in volta. Ma la cosa (allora più importante e qua siamo all’innocuo concetto filosofico), i bottoni delle femminucce, non valevano nulla e non potevano essere contrattate. Oggi fa un effetto strano ricordare questa differenza, ma i tempi erano quelli e, del resto, le bambine erano anche loro toste ed ai maschietti non era consentito di invadere il loro mondo di giochi. Per loro c’era il mondo delle favole, le bambole con le quali scimmiottavano a fare le mamme, le maestre o le infermiere; i loro giochi si svolgevano di solito in casa, ma non disdegnavano certo a giocare fuori anche loro con le catenelle, a rimpiattino e, sempre per gioco, si facevano regalare dalle loro mamme piccoli telai dove imparavano a cucire ed a ricamare – prerogativa quasi sempre lasciata alle nonne e con le quali si stava volentieri perché ascoltandole la sera, sedute attorno al braciere, con i loro racconti, tramandavano dolcezza, saggezza e conoscenza. E poi c’erano i giochi di movimento, giochi che servivano a rafforzare il corpo e quindi anche lo spirito: ‘A TRAVU LONGU: (un ragazzo doveva saltare superandolo un altro ragazzo e così via fino all’ultimo concorrente). Mi ricordo di una volta che eravamo più di 50 ragazzi e mentre l’ultimo cominciava a saltare in Piazza Umberto I, il primo si posizionava all’inizio di Via San Sebastiano – quella sera fu l’unica volta che si fece un travu longu circolare per tutto il paese, fino a rientrare in Piazza Umberto I. ‘O PASSETTU: (gioco molto vicino al travu longu, con tanti giocatori ed un solo sottomesso). C’era un capo, un sottocapo e gli altri concorrenti. Il gioco consisteva nel saltare tutti allo stesso modo in cui decideva il capo, allontanando di volta in volta il sottomesso ed aggiungendo al salto maggiori ostacoli, perché alla fine se tutti riuscivano a saltare, era il capo che perdeva ed andava sotto. C’era una frase di circostanza che era enunciata dal capo e che tutti dovevano ripetere prima del salto: ‘Addu e ‘addina, chiddu chi fa ‘u addu avi a fari a ‘addina. ACCHIANA ‘U PATRI CU TUTTI I SO FIGGHI: (anche questo simile agli altri due, ma con la variante che c’erano quattro giocatori sottomessi appoggiati al muro ed altri quattro che dovevano saltare addosso). Il gioco consisteva nel rimanere addosso ai giocatori addossati al muro fino al tempo in cui il primo saltatore, dopo che è saltato l’ultimo giocatore, cantava la seguente filastrocca: Scinni scinni nininedda cù li causi tirati, scinni nininedda, scinni cà ura è! A questo punto si contava fino a dieci e se i giocatori sottomessi riuscivano a tenere in groppa gli avversari, vincevano il gioco e si rivoltava la situazione. O RUCCHEDDU, O CAMPANARU e O FUSSITEDDU: tre giochi identici nello scopo finale, vincere il più possibile tappi di bottiglia, successivamente bottoni ed infine, nell’era moderna, soldi. Con il primo bisognava mettere sopra un rocchetto per raccogliere il filo o un cilindretto fatto di canna i soldi e successivamente il concorrente che lanciava una moneta più vicina al rocchetto, aveva il diritto di imprimere con le dita una zzicchittata al fine di far cadere il rocchetto e di ricevere in compenso tutte le monete più vicine alla sua, prestando attenzione però alle monete degli altri concorrenti che avevano lo stesso diritto di prelazione. Con il secondo, si disegnava un rettangolo con sopra un triangolo a mò di campanile ed i concorrenti tiravano una moneta dentro il rettangolo, cercando di posizionarla il più vicino alla linea di demarcazione fra il rettangolo ed il triangolo superiore. Chi riusciva ad avvicinarsi di più, aveva il diritto di zzicchittare tutte le monete dal rettangolo al triangolo. Riceveva in compenso tutte le monete che riusciva a mandare nel triangolo, ma si fermava al primo sbaglio e continuava il gioco il secondo che era riuscito a posizionare la propria moneta dopo il primo. Con il terzo, si faceva un buco per terra (fussiteddu) ed il procedimento era identico al gioco del campanaru. Altri simili giochi erano: ‘O MURIDDO (al muro): bisognava tirare una moneta ed avvicinarsi il più possibile al muro. Chi ci riusciva, aveva il diritto di buttare in aria le monete di tutti i concorrenti e di prendersi tutte quelle che cadendo, avevano l’effige rivolta all’insù (testa) e lasciando al secondo concorrente quelle che avevano l’effige rivolta verso il basso (scrittu) e via di seguito, fino a che l’ultima moneta cadeva con l’effige all’insù. ‘A SPACCAMARUNI (spacca mattone): la stessa parola fa capire lo svolgimento del gioco. A turno si butta una moneta per terra cercando di farla andare il più al centro possibile di una qualsiasi mattonella della piazza o di un marciapiede. I concorrenti successivi, nel caso in cui il precedente concorrente è riuscito a collocare la propria moneta al centro della mattonella, nel buttare la propria moneta giù, ha diritto di prendere la mira attraverso l’occhio e le dita indice e pollice con le quali tiene la propria moneta, per colpire quella dell’avversario al fine di spostarla dal centro. Alla fine vince il concorrente che è riuscito a metter la propria moneta più a centro fra quelle tirate. ‘A FERROVIA: si disegnava un binario a volte circolare ed a volte con curve e rettilinee, inserendo lungo il percorso diversi cerchi che fungevano da stazioni ferroviarie. Il gioco consisteva nel zicchittare una moneta lungo il percorso mantenendo la stessa all’interno del binario nel momento dell’arrivo; si poteva quindi anche zicchittare fuori dei binari, ma l’operazione assai più rischiosa, ti faceva ritornare al punto di partenza se la zicchittata era più forte o più lenta e mandava la moneta fuori del binario. Vinceva l’intera posta chi riusciva per primo ad arrivare all’ultima stazione. Tanti e tanti altri giochi si facevano nei tempi passati e per elencarli tutti ci vorrebbe un intero volume. Ed un piccolo assaggio potrebbe essere: MANI IN ALTO, QUATTRU CANTI, LIBERATI TUTTI, CHI FRECCI, ‘A RRÈNNITA, ‘E LIGNICEDDI, ALL’INCANTU, ‘A GUERRA tra Castiddara, Chiazzalori e Sanciuvannara, PIGGHIARI I NIRA DI L’ACEDDI ‘CA CANNA E ACCHIAPPARI I SERPI CU I BBUSUNI RI DDISA. Le fotografie di questo volume ne rappresentano solo un assaggio, bisognerebbe fare una meticolosa ricerca negli antichi archivi di studi fotografici, ma è grazie all’intuizione di Eduardo Paladino che oggi Voi avete la possibilità di visionarne alcune e spero che tra la visione delle stesse e la descrizione che di loro vi ho dato, potete vivere le stesse emozioni che io ho provato nel rappresentarle. |