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Il Grifone
nello stemma di Ciminna Abbiamo chiesto a Giuseppe Grifeo come ha fatto lo stemma della famiglia Grifeo ad essere utilizzato dal comune di Ciminna nel proprio stemma e questa è stata la sua risposta: " Il 14 luglio 1634 Mario Grifeo III, XIX Barone e II Principe di Partanna, nonché XII Visconte di Galtellin, diventa il primo Duca di Ciminna della famiglia, il tutto grazie al privilegio firmato da Re Filippo IV di Spagna. La vicenda trae origine dal matrimonio di Mario con la Marchesina Maria Ventimiglia Aragona di Geraci che portò in dote la signoria di Ciminna, trasformata in Ducea da Re Filippo IV come titolo per il Grifeo.
L'alleanza Grifeo -
Ventimiglia venne già stretta il primo agosto del
1570, quando Mario II Grifeo (nato il 27-12-1550 e morto nel
1587), XVI Barone di Partanna, sposò Antonia Ventimiglia di
Ciminna (deceduta il 15 agosto 1606). |
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Lo stemma gentilizio della famiglia Grifeo |
Il Grifone |
Dopo gli interessanti chiarimenti forniti a Partecipiamo da Giuseppe Grifeo sulle modalità che hanno consentito l’inserimento del grifone nello stemma di Ciminna completiamo la nostra ricerca con una esposizione dell’architetto Arturo Anselmo che ci parla dello stemma di Ciminna da un punto di vista complessivo: |
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Credo utile soffermarmi su un paio di cose. La costituzione feudale della Terra di Ciminna ne permetteva la trasmissione ereditaria anche in linea femminile. Nel 1552 venendo a morte Guglielmo Ventimiglia lascia due figlie femmine, Maria e Antonia; la prima, come maggiore in età, eredita la baronia di Ciminna; Maria va in sposa a Simone II Ventimiglia (Geraci), Antonia sposa Mario Grifeo (Partanna). Da Maria e Simone nasce Giovanni che, alla morte della madre (il padre era premorto), eredita Ciminna e Geraci. Giovanni muore nel 1619 senza eredi legittimi, a Geraci succedono i Ventimiglia (Naso) a Ciminna gli eredi di Antonia, secondogenita di Guglielmo Ventimiglia, ossia Guglielmo Grifeo, allora barone di Partanna, il cui casato ne mantenne il possesso fino all’abolizione del regime feudale nel 1812. In ordine alla questione dello stemma com’è verificabile anche a proposito anche per altre Terre feudali, le Universitas (amministrazioni civiche di nomina feudale) solitamente usarono inquartate l’arme propria su quelle del signore. Per quanto a Ciminna la prima documentazione che verifica tale prassi, è offerta dallo scudo posto su uno dei cantonali della torre campanaria della matrice (1519); esso porta inquartata sull’arme dei Ventimiglia la “mammella” verosimilmente da tempo arme propria della Terra. Si verifica che l’Universitas non utilizzò nei propri atti pubblici tale prassi. Un’impronta del sigillo civico rilevabile da un atto pubblico (affrancazione di uno schiavo) registrato alla corte giuratoria nel 1571, reca la mammella e la scritta “Universitas Terre Ciminne”. Bisogna osservare come nel citato scudo del 1519 la mammella è rappresentata con l’apice rivolto in basso sul campo troncato dell’arme antica dei Ventimiglia mentre, sul sigillo essa è rappresentata con visione frontale. Ciminna, anche dopo l’infeudazione ai Grifeo, continuò ad utilizzare un sigillo recante la “mammella” (con apice in basso) inquartata sul campo rosso troncato nel mezzo, col capo d’oro dei Ventimiglia, come si può riscontrare dal frontespizio del Corale Bonnunzio miniato nel 1628 da don Santo Gigante. Stemma uguale è riscontrabile (senza i colori) in alcune impronte su documenti dell’Universitas della prima metà del XVII secolo. La diversità di rappresentazione dell’arme cittadina quando inquartata su quelle del signore feudale è riscontrabile altrove. A Tusa, il “cane” arme propria di quella Terra (anticamente rampante su una colonna), nel momento in cui viene inquartato sull’arme del barone, è rappresentato in posizione accovacciata. A Ciminna similmente abbiamo visto il caso delle diverse rappresentazioni della “mammella”, ciò verosimilmente discende dalla volontà di rappresentare figurativamente la “sottomissione” feudale. Probabilmente legata ad esigenze figurative è la rappresentazione dell’unione tra arme civica ed arme feudale che si rileva dalle due mazze argentee dell’Universitas di Ciminna eseguite nel 1728. Qui, quattro grifi accovacciati (tra i quali su ogni lato delle mazze è rappresentato uno dei santi patroni) sostengono con il capo la corona regale su cui troneggia l’Immacolata e, con un artiglio proteso in avanti, reggono la “mammella” rappresentata in visione frontale. Ritorniamo allo stemma civico attuale, il cui uso fu concesso a Ciminna durante il regno di Vittorio Emanuele III di Savoia, ed alle sue origini. La configurazione appare visibilmente simile a quella che ne da un’impronta del sigillo civico su atti ufficiali della fine del secolo XVIII. Questo sigillo era composto da uno scudo recante l’arme propria dei Grifeo con grifone sul capo e tre bande sul campo, a quest’ultimo, è aggiunto al piede un ulteriore campo recante la “mammella” con apice verso il basso. Di fatto lo stemma attuale deriverebbe da una contrazione del campo a tre bande che, trasferito sul capo d’oro con grifone nero, si trasforma in una scala traversante su cui corre il chimerico attributo dei Grifeo mentre, il campo sottostante, eredita l’azzurro delle originarie bande dello stemma del casato di Partanna, su cui viene inquartata la “mammella” con apice verso il basso. E’ da annotare come nel nostro centro, sul finire del Seicento compare la famiglia baronale Ciminna (originaria di Montemaggiore) infeudata del feudo della Mantia e poi, dopo il matrimonio di Filippo con Antonina Spatafora dei baroni del Feudaraso, anche di quest’ultimo feudo. Di questa famiglia tra l’altre, restano due lapidi sepolcrali, una in S. Domenico del barone Filippo e l’altra, alla Matrice, dell’arciprete don Periconio Ciminna e Naselli. In entrambe, uno dei quarti dell’arme riprodottavi riporta la “mammella” che, pur con lievi varianti grafiche, viene rappresentata frontalmente. |
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